Un lunare era un lunare, a prescindere da quale fosse il suo sistema di provenienza. Quando parlava o interagiva con un “planetoide”, cioè un essere umano nato e cresciuto su un pianeta a gravità simil-terrestre, adottava quello che qui chiamavano il “fare con la pietra al collo”, un insieme di atteggiamenti, movenze ed espressioni studiate e imparate apposta per permettergli di integrarsi nella società planetaria con relativa facilità. I “planetoidi” pensavano che i lunari fossero strani, ma non ne avevano idea…
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Le superfici dei pianeti rappresentavano sempre un tuffo nell’umile scomodità di dover fare i conti con le più banali leggi del creato, pensava Mabel. Quando eri in una base spaziale o su una grande nave avevi la falsa impressione che l’uomo avesse ormai il potere di controllare tutto, compresi il tempo e lo spazio: potevi muoverti fra le stelle, vivere fino a duecento anni, portare vita dove il creatore aveva pensato di non prendersene disturbo… ma poi arrivavi su un pianeta dove le tue attrezzature più sofisticate dovevano fare i conti con la foschia, e perdevano.