RECENSIONE: J. R. R. Tolkien, il Signore degli Anelli e da dove cominciarlo

Questa è la mia guida di sopravvivenza al fantasy, per gli sperduti viandanti che si perdono in questa magica selva.

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Il paradosso dell’epilogo traslato

J. R. R. Tolkien, il nome forse più chiacchierato nell’universo della fiction fantastica (e a ragion venduta, a chi non piace pronunciarlo?), divide il mondo dei lettori in due distinte categorie: quelli che amano il Signore degli Anelli e non vogliono altro che diffondere il suo verbo (“devi leggerlo, è una pietra miliare” – “se non hai letto Tolkien non hai letto fantasy” – “è il padre del fantasy, è un must” – “è il fantasy più bello mai scritto”) e quelli che, spinti dall’implacabile insistenza di questa prima categoria, ci hanno provato e hanno mollato dopo una ventina di pagine (“troppe descrizioni” – “tre capitolo interi sugli hobbit” – “una pagina e mezza solo per descrivere la casa di Bilbo” – “l’ambientazione non cambia mai, sono tutte foreste…”).
Se appartenete alla Prima categoria avete sicuramente provato, almeno una volta nella vita, quella sensazione di sgomento e incredulità che viene dal rifiuto di quel qualcuno a cui avete a lungo e ferventemente consigliato questa lettura per poi scoprire, con sgomento appunto, che non gli è piaciuta. Anzi, che non l’ha nemmeno finita. Anzi, che non ce l’ha nemmeno fatta a uscire dalla Contea! Sacrilegio!!
E gli appartenenti alla seconda categoria se la vedono perfino peggio… Tanto per cominciare perché hanno ragione quelli della Prima categoria: vi siete persi uno dei più grandi capolavori letterari dell’epoca moderna (breve nota: se non si fosse capito, io appartengo alla Prima categoria). In secondo luogo perché, spinti appunto dall’insistenza e dal fervore della Prima categoria, avete affrontato la lettura del Signore degli Anelli con un’altissima dose di aspettativa, il che già di per sé è una pessima idea (senza l’aspettativa, perfino un film con The Rock è una figata), rimanendone profondamente delusi. E per finire perché avete dovuto trovare il coraggio di spiegare tutto questo agli amici della Prima categoria, che non l’hanno presa bene.

Per carità, la lettura è un piacere e in ultima analisi è tutta una questione di gusti, ma mi permetto di suggerire, a entrambe le categorie, che potreste aver commesso un piccolo errore, anzi due.

Ve la pongo in questi termini: vi siete mai chiesti che cosa succederebbe iniziando a leggere un libro per scoprire che il suo incipit è l’epilogo di un altro?

Probabilmente avete già capito dove voglio andare a parare, non è una novità: per apprezzare davvero il Signore degli Anelli bisogna prima leggere l’Hobbit, il prequel, l’introduzione alla storia…
Perché?
Perché l’Hobbit non è solo cronologicamente antecedente al Signore degli Anelli (sia in termini narrativi che di pubblicazione) ma è anche concettualmente antecedente. Che vuol dire? Che è scritto per dei lettori che non hanno mai visto la Terra di Mezzo e non hanno idea di dove sia o come sia fatta. Per cui tutto ci viene spiegato con calma, ci viene data la possibilità di assorbire la nuova realtà senza sommergerci di informazioni superflue e nulla viene dato per scontato.

Il Signore degli Anelli è un “epic fantasy”, una lunga e complicata storia di guerre, amori, tradimenti e destino, del malvagio signore Sauron che progetta di conquistare la Terra di Mezzo per ridurre le sue genti in schiavitù. È ambientata in un mondo gigantesco pieno di razze, culture e personaggi che ci vengono descritti e presentati nel più meticoloso dettaglio, pescando da un universo immaginario praticamente infinito con tanto di tradizioni, miti e leggende. È un mattone di oltre mille pagine, in carattere 8 o meno senza interlinea, che richiede una grande dedizione (e un bel divano comodo).

L’Hobbit, per contrasto, è una fiaba: è la storia di tredici nani che devono raggiungere la tetra montagna per rubare il tesoro del drago cattivo. Ma siccome il numero tredici porta sfortuna si rivolgono al saggio stregone Gandalf che si propone di risolvere il dilemma procurando loro un quattordicesimo membro per la spedizione: Bilbo Baggins. E chi è Bilbo Baggins? Un hobbit, comunemente noti (anche se nessuno sembra saperne niente, in realtà) per essere piccoli esseri rapidi e abili nel furto e nello scasso (e cosa c’è di meglio di uno scassinatore quando si va a rubare il tesoro di un drago?). I nani e Gandalf convincono Bilbo a unirsi a loro e il libro segue a narrare le vicende e i pericoli che si susseguono nel corso del lungo viaggio verso la Montagna Solitaria, regno indiscusso e incontestato del Drago Smaug, tra orchi, ragni ed elfi, buoni e cattivi.

Cos’è meglio per cominciare?

Immaginate, voi della Prima categoria, un vostro amico o conoscente alle prese con le prime pagine del Signore degli Anelli, senza aver mai letto nulla di Tolkien o magari senza aver mai letto un fantasy in vita propria. Che cosa troverà il poveretto? Il racconto della preparazione di una festa di compleanno di cui non può importargli poi molto, visto che non conosce Bilbo e non conosce l’importanza del suo compleanno, e tante tante pagine spese a raccontargli come vivono questi hobbit senza avergli mai veramente spiegato perché a qualcuno dovrebbe interessare. Dei banali paesani, alti come delle sedie, che che vivono in una contea chiamata Contea e che per scelta di tradizione non fanno mai nulla di interessante. Risultato? Il poveretto non troverà una vera ragione di vita fino, forse, all’arrivo di Tom Bombadil (nel capitolo sette!!)
Dovete ammettere che superare questo primo scoglio, per chi si affaccia per la prima volta alla Terra di Mezzo, non è per niente facile, specialmente in tempi in cui l’unico libro buono è un libro dove si parla sempre, non si descrive niente e ci si mena come forsennati già dalla terza pagina. Dov’è l’azione? Dov’è l’adrenalina? Ma che mi hai dato da leggere?

L’Hobbit, per contro, è una lettura molto più facile, che ci permette di cominciare ad apprezzare lo stile di Tolkien senza impegnarci in qualcosa per cui non siamo pronti. Di azione ce n’è quanto basta e ha il vantaggio di avere da subito dei nani come protagonisti (a chi non piacciono i nani?), il tutto condito dalla presenza quasi costante di Gandalf, che già di suo è un bel biglietto da visita. Ha un solo difetto: finisce come una fiaba, con una versione un po’ più elaborata del “e vissero per sempre felici e contenti (almeno quelli che non furono mangiati dal drago)”. Ha, in poche parole, quel difetto tipico di quasi tutta la letteratura classica di cui è figlio: manca di un vero epilogo.
Che ne è stato poi di Bilbo? Che fine ha fatto il suo anello magico? È tutto qui? Che facciamo ora che ci siamo finalmente appassionati a questo fantasy che prima nemmeno conoscevamo e ci siamo goduti tutta questa bella storia di mostri, draghi e magie, che però adesso è finita? Ci siamo affezionati a Bilbo Baggins, ne vogliamo ancora!

Ed ecco che entra in scena il Signore degli Anelli, la degna e ben più elaborata continuazione di tutto ciò che è stato messo in moto fino a questo momento e che, nei suoi primi capitoli, ci regala proprio quell’epilogo che tanto ci era mancato.
Vediamo Bilbo, di nuovo in compagnia del suo buon vecchio amico Gandalf e non a caso il titolo del primissimo capitolo è “A long-expected party – Una festa a lungo attesa” proprio a ricordare quel primo capitolo dell’Hobbit in cui lo abbiamo conosciuto e che titolava “An unexpected party – Una festa inattesa”. Rivediamo il nostro vecchio amico dopo tanti anni e lo troviamo ancora in gran forma.
Ed ecco che quei primi capitoli così noiosi e apparentemente inutili acquisiscono un sapore e un significato completamente diversi. Improvvisamente tutti quei dettagli superflui e quella lentezza sono i benvenuti. Ci gustiamo, finalmente, la fine della storia di Bilbo e ripartiamo, carichi e convinti, con quella di Frodo, sapendo che ci aspetta un’altra lunga ed entusiasmante avventura.

J.R.R., l’unico autore di fantasy che non era un fisico

Ho detto all’inizio di questo piccolo articolo che abbiamo commesso due errori.
Del primo vi ho già parlato: assolutamente leggere l’Hobbit prima di cimentarsi col Signore degli Anelli. Il secondo invece richiede un discorso più generale e consiste sostanzialmente nel fatto che chi ha apprezzato Tolkien (la Prima categoria) spesso sottovaluta l’unicità e la peculiarità del suo stile quando lo propone ad altri (la seconda categoria), abituati a tutt’altro tipo di letture.

Domanda: avete mai notato che la buona parte degli autori moderni di fantasy sono laureati in Fisica? Dall’internazionale Robert Jordan, autore della Ruota del Tempo e di cui parlerò in un altro articolo, alla nostra più locale Licia Troisi (astrofisica per l’esattezza); io stesso adoro scrivere fantasy e sono laureato in Astronomia…
Posso dirvi con certezza che per indole siamo bravi a inventare mondi immaginari e che ci piace renderli tutti diversi fra loro, ma un occhio attento noterà che abbiamo una peculiare caratteristica comune: poiché i nostri studi ci hanno abituati a filtrare il mondo attraverso le leggi della fisica abbiamo la tendenza a ricreare, anche nei mondi immaginari frutto della nostra fantasia, un sistema di leggi che li controllano. Leggi diverse naturalmente, immaginarie, che tengono conto dell’elemento magico che è tipico del fantasy, ma ciononostante rigorose e a cui non ci si può sottrarre. Queste leggi costituiscono l’impalcatura rigida su cui costruiamo la coerenza della nostra storia per renderla credibile, per portare il lettore alla famosa “sospensione d’incredulità”.
È un modo di scrivere consolidato, considerato moderno e a cui ormai tutti sono abituati, scrittori come lettori.

Ma il nostro buon Tolkien era diverso. Perché non era un fisco, ma un professore di lettere, e l’impalcatura che tiene in piedi il suo mondo non è rappresentata da leggi ma da simboli.
Questo può sembrare un dettaglio triviale, ma è esattamente ciò che rende il suo stile completamente diverso da ogni altro autore di fantasy, vivente e non. Nelle sue storie non viene spiegato nulla, solo raccontato; non ci si può aggrappare alla coerenza dell’impalcatura, perché non c’è un’impalcatura coerente a cui aggrapparsi. Gandalf il Grigio non è Gandalf il Bianco, punto. L’Unico Anello è tale perché così lo ha voluto Sauron. Gli Elfi se ne vanno perché gli elfi se ne vanno. Aragorn ama Eowen e l’amerà sempre, perché è così.
La sospensione d’incredulità non deriva dal fatto che la storia sia credibile o verosimile, ma dalla totale immersione che un lettore prova nel poter quasi respirare l’odore del muschio sotto i piedi dei protagonisti o ammirare le grandi opere architettoniche costruite dalle razze della Terra di Mezzo. Leggendo Tolkien ci si perde nelle innumerevoli leggende del suo mondo immaginario, che sono così tante e gli danno una tale profondità da farlo sembrare vero.
È uno stile unico nel suo genere, mai eguagliato e per nulla facile da riprodurre, giustamente considerato una pietra miliare del fantasy e di tutta la letteratura. Ma non è detto che tutti riescano ad apprezzarlo al primo colpo, ed è proprio in questo che consiste il secondo errore, commesso sia da chi lo consiglia (Prima categoria) che da chi se lo fa consigliare (seconda categoria): se non sei pronto a leggere Tolkien non riuscirai ad apprezzarlo.
Perciò preparati!

Doverose (e brevissime) conclusioni

Si può dire, in pratica, che l’Hobbit sia una palestra necessaria, oltre che piacevole, per apprezzare il grande capolavoro che la segue. A firma, a mio avviso, di uno dei più grandi autori di narrativa di tutte le ere e che tutti gli amanti del genere fantasy dovrebbero aver letto, se pur con qualche piccolo accorgimento.

Spero che chi leggerà questo articolo, soprattutto i poveretti della seconda categoria, seguiranno il mio consiglio.
Fidatevi, so di che parlo. L’Hobbit è stato il mio primo fantasy e mi ha aperto un mondo fantastico che prima non conoscevo, ma che bisogna saper prendere nel modo giusto e con la giusta pazienza.

Perciò, buone letture e alla prossima!

2 pensieri riguardo “RECENSIONE: J. R. R. Tolkien, il Signore degli Anelli e da dove cominciarlo”

  1. Ho letto con grande attenzione e molto piacere questo articolo su J.R.R.Tolkien. L’ho trovato coerente, ben scritto e originale. Da letterata ho amato soprattutto la seconda parte, dove viene spiegato come la “sospensione d’incredulità” si applichi a Tolkien grazie alla credibilità che il suo universo di simboli, privo di leggi razionali, acquista nella mente del lettore. Condivido con l’autore il suggerimento che la lettura di un autore come questo va preparata e ho intenzione di rileggere entrambi i romanzi nell’ordine che lui suggerisce e gustandoli per lo “stile unico nel suo genere, mai eguagliato e per nulla facile da riprodurre”. Complimenti!

  2. Io ho letto la trilogia del “Signore degli anelli” da dove son stati tratti i film, ma non ho letto lo Hobbit e il resto. Non sono appassionata di Fantasy e se non avessi visto prima i film mi sarebbe venuto difficile capire tutta la storia. Mi perdo facilmente coi nomi strani o le terre sconosciute, le mappe e i luoghi immaginari. Non credo che rileggerò i libri ma i film li ho visti più volte. Ovvio che chi ama il genere apprezzerà moltissimi i tuoi consigli.

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