RECENSIONE: George R.R. Martin e il mito dell’iperrealismo

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Nota ai posteri

In questo articolo parleremo di una saga ancora non conclusa, perché l’autore, dopo aver fatto il botto con la serie televisiva, s’è incartato al quinto libro di sette e non ne viene più fuori.
Sia registrato che stiamo oggi vivendo nell’Anno del Signore 2020, è primavera e non abbiamo ancora notizie della saga dispersa.

La definizione

Presa pari pari da Wikipedia (se questo articolo dovesse essere ritrovato in un futuro lontano in cui i tempi moderni siano stati dimenticati, sappiate che Wikipedia fu un’enciclopedia elettronica attiva nei primi decenni del ventunesimo secolo il cui scopo era di garantire il libero accesso al sapere, anche se ogni tanto scriveva delle enormi corbellerie):

L’iperrealismo è un genere di pittura e scultura, i cui artisti si servono di tecniche fotografiche e di una meccanica riproduzione della realtà per costruire l’illusionismo delle proprie tele e delle proprie sculture. (…) Per poter riprodurre la realtà in maniera rigorosa, gli iperrealisti si servono in genere di fotografie molto ingrandite per le pitture o di calchi dal vivo per le sculture, per realizzare quanti più dettagli possibili, in una vera e propria “forma maniacale”.

Una “forma maniacale” di riproduzione della realtà… cioè un’attenzione ai dettagli talmente concentrata da risultare ossessiva. Ogni elemento, ogni granello di polvere in un’opera d’arte deve essere al suo posto, avere un senso e un motivo di esistere, oltre a essere rappresentato nella più assoluta delle perfezioni. E guai a sgarrare. Guai! Il più piccolo errore è fatale, da ghigliottina, vuol dire che non sei degno! Volevi dire qualcosa con quell’opera, un significato più profondo? Bravo! Ma dev’essere realistica.

È la corrente moderna, la cosa che ora fa tendenza. Nell’ultimo decennio ha preso piede in un modo, io credo, imprevedibile e strabiliante per chi ha avuto la fortuna di vivere anche le correnti precedenti. Al punto che è praticamente impossibile, al giorno d’oggi, far digerire al pubblico qualunque altro stile di espressione.
Dite la verità! Non è forse vero che al giorno d’oggi tendiamo a considerare bello ciò che ci appare perfettamente “realistico”, e che tendiamo altresì a giudicare tanto più bravo l’artista che riesce a rendere “realistiche” le sue composizioni (siano essere dipinti, sculture o storie)? E, soprattutto, che non ammettiamo l’esistenza di alcun altro metro di giudizio?
La verità, mi raccomando. Tanto non posso sentirvi…

Ma ho usato una parola poco fa, e non per caso: storie. La definizione da cui siamo partiti parla di pittura e scultura, a buona ragione, ma siamo sicuri che anche le storie, i romanzi nella fattispecie, non ne siano state intaccate?

Sì, ed è colpa sua

L’approdo di questa corrente ipermoderna e ipersuscettibile al mondo della scrittura, almeno nell’epic fantasy, lo dobbiamo a George Martin.
Sì, lui. Noto nel mondo accademico come colui che uccise il gatto di Schrodinger senza aprire la scatola. Quello della serie HBO “il Trono di Spade” che è piaciuta praticamente a tutti e che alla fine ha fatto incazzare proprio tutti per come è finita. La serie “dove muoiono tutti”, per antonomasia.
Il monumento moderno alla pochezza umana trasposta in un’ambientazione magico-medioevale (molto più medioevale che non magica) dove l’eroismo e l’epicità tipiche del fantasy vengono gettate dalla finestra in favore di un realismo che fa quasi male agli occhi, e allo stomaco.

Sì, non è una serie da leggere per chi è di stomaco delicato. E non mi riferisco a sbudellamenti, torture, violenza gratuita o l’insieme di tutte queste alternate al sesso gratuito (quella è la serie HBO). Mi riferisco al magone. È una saga di cliché ribaltati, scritta apposta per farci rimanere male (per non dire di m…) a ogni volgere di pagine, e poi peggio e poi peggio… per poi darci una scintilla di speranza, ma farla finire di nuovo male.

È realistica.

Dove sono gli eroi nella realtà? Non esistono. Cosa succede a quelli che cercano di fare la cosa giusta? Se la prendono nel c… . Chi la spunta alla fine: il retto o il furbo, il gentile o il bastardo?
Domande ovvie, risposte che non ti fanno dormire.
Eppure ci rimani incollato. A meno che tu non disdegni del tutto il sangue e la violenza (ce ne sono, anche se la trasposizione televisiva ha ulteriormente esagerato) una volta che sei partito non te ne stacchi più. I personaggi sono tropo veri, le loro storie troppi vicine a quello che conosci del tuo mondo per non rapirti con la loro ineluttabile e malinconicamente macabra tragedia.

Non c’è niente da fare: è realistica.

Quando un personaggio compie un’azione, è esattamente quello che avresti fatto tu. Quando muore, è proprio quello che sarebbe successo nella realtà come te la puoi immaginare. Quando vince, è perché è stato così bravo che le cose semplicemente non sarebbero potute andare altrimenti.

Eppure è un fantasy.

Esistono creature magiche, o almeno non naturali. Ci sono profezie, c’è un nemico oscuro da combattere e ci sono, in realtà, un sacco di cliché: i lupi che diventano i migliori amici degli uomini, i barbari primitivi che in realtà sono più onorevoli dei nobili nei loro castelli, la giovane erede al trono che si dimostra la più cazzuta di tutti, le profezie che si avverano anche se non ci crede nessuno e chi più ne ha più ne metta.

Ma è realistica.

Ci sono scene in questa saga, passaggi talmente ben descritti, da farti dubitare che si tratti di una storia inventata. La descrizione, precisa e dettagliata, di come la mente di un uomo o di una donna possa funzionare, come se avessimo una macchina speciale che ci permettesse, guardando un dato individuo, di vedere dentro al sua testa gli ingranaggi che girano, è così vera da dare i brividi.

Nudo si erse, pallido, alto e scavato, e nudo avanzò nel nero mare salato. L’acqua era gelida, ma lui non socchiuse nemmeno gli occhi alla carezza del dio. Un’ondata si abbatté contro il suo petto, facendolo barcollare. L’ondata successiva quasi lo sommerse. Aeron sentiva il sale sulle labbra e avvertiva attorno a sé la presenza del dio, e nelle orecchie gli echeggiava la gloria del canto divino. “Nove figli sono nati e di loro io ero l’ultimo, il più debole e spaventato come una ragazzina. Ma non più. Quell’uomo è annegato, e il dio mi ha reso forte.” Il freddo sale lo circondava, lo serrava nel proprio abbraccio, si aprì la strada nella sua debole carne d’uomo, arrivando alle ossa. “Ossa” penso Aeron. “Le ossa dell’anima. Le ossa di Balon e di Urri. La verità giace nelle nostre ossa perché la carne imputridisce mentre le ossa permangono. E, sulla collina di Nagga, le ossa del re Grigio…” Sempre pallido, emaciato e tremante, Aeron Greyjoy avanzò fino alla riva, più saggio di quanto non fosse quando si era abbandonato al mare.

Era giusto per dare un’idea…
Ho scelto questo passaggio perché quando lo lessi anni fa mi rimase impresso: la perfetta rappresentazione di un uomo disperato che trova convinzione e risposte nell’ardore della fede, per altro senza essersi fatto alcuna domanda.
Non è un punto cardine della storia e ce ne sono di molto più interessanti, ma questo secondo me mostra più di tanti altri il genio di Martin, e soprattutto la sua incredibile capacità di pensare con la mente di altri.
Vi posso assicurare che non è affatto facile impedire ai tuoi personaggi di pensare, parlare e agire come te (o come faresti o immagineresti di fare tu nelle stesse situazioni). È forse una delle sfide più difficili per un autore: creare personaggi che non siano te (o peggio ancora, una parodia malriuscita di come tu vedi le altre persone). Io per primo non sono affatto sicuro di riuscirci.
Lui ci riesce.

Tirando le fila direi che in fin dei conti ci sono tre categorie di persone a cui consiglio la lettura delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco (più comunemente note come il Trono di Spade): iperrealisti convinti, qui troverete tutto ciò che cercate e tanto di più, sognatori masochisti, vi farete del male ma vi piacerà, aspiranti autori di grandi saghe che quando descrivono i propri personaggi partono sempre dai capelli, a quest’ultima categoria la lettura è fortemente consigliata.

Il Septon non sapeva né leggere né scrivere, come confessò allegramente lungo la strada, ma conosceva un centinaio di preghiere e sapeva recitare a memoria lunghi brandi della “Stella a sette punte”, che poi era tutto ciò che gli si richiedeva nei villaggi. Aveva il volto segnato e bruciato dal vento, una folta zazzera di capelli grigi, rughe agli angoli degli occhi. Pur essendo alto, oltre un metro e ottanta, aveva un modo di camminare piegato in avanti che lo faceva sembrare molto più basso. Aveva mani grandi che parevano di cuoio, con le nocche rosse e le unghie sporche, e i piedi più larghi che Brienne avesse mai visto, neri e duri come il corno.

Precisamente ciò che intendo.
Questo è un altro di quei passaggi che, almeno per me quando lo lessi, fu illuminante: prima di leggerlo non aveva mai capito quanto un personaggio potesse essere ben caratterizzato da dettagli apparentemente irrilevanti, né di poterlo descrivere parlando del colore dei suoi piedi. Ma si può, e se si vogliono seguire le orme di questo tormentato maestro, si deve.
L’importante è non esagerare… e soprattutto non perdere di vista il vero motivo per cui si decide di raccontare una storia, cioè la storia.

Gli eredi dell’iperrealismo

Come ho detto all’inizio, proprio come nelle arti visive, l’iperrealismo fa tendenza. Tutti, o quasi tutti, ora cercano di imitare il buon George. Alcuni ci riescono abbastanza bene, altri molto meno (è la verità, che ci devo fare?), ma siamo di fronte a un fenomeno diffuso e capillare, che tende a lasciare spazio a poco altro, occupando di fatto tutta la scena, dalle opere alla critica che le segue.

Se avrete voglia di farvi un giro nei salotti letterari virtuali che abbondano in rete troverete innumerevoli blog, canali streaming, pagine FB e dirette di vario genere dove i libri degli autori contemporanei vengono “recensiti” con l’ausilio dei più diversi strumenti nelle mani dell’uomo moderno, incluse macchine per la Tac, microscopi elettronici, spettrografi, sismografi, barometri e probabilmente numerosi metodi di ricerca sperimentali non ancora in commercio.
Lavori encomiabili, precisi. Realistici tanto quanto la corrente moderna richiede. Attentissimi a individuare nelle cavie la più piccola devianza dal modello.
È divertente a volte osservare che succede nel dare qualcosa di diverso in pasto a questo ingranaggio, magari una storia scritta secondo uno stile superato (il che significa più di una quindicina d’anni fa) o addirittura una storia che sia vecchia sul serio: è come se i marziani arrivassero sulla terra e chiedessero il permesso di soggiorno 😀
Ricordo una bella gara letteraria a squadre a cui partecipai alcuni anni fa, c’erano tanti bei racconti in gara e uno in particolare mi colpì per il modo in cui gli autori avevano imitato lo stile di Lovecraft (quello dei mostri tentacolari, Cthulhu & co.), riuscendoci abbastanza bene a mio parere. Dire che fu affossato è un eufemismo… fu affossato, seppellito e riscavato fuori per ricominciare tutto daccapo. Lovecraft è oggi universalmente riconosciuto come uno dei padri del genere horror, le sue storie hanno ispirato generazioni di artisti indipendenti in tutti i generi di arte, dall’illustrazione ai giochi in scatola e perfino i manga giapponesi, ma nei primi decenni del secolo scorso l’iperrealismo era ancora molto, molto lontano. Quindi oggi non conviene molto seguire le sue orme…

Ma non disperiamo!
L’iperrealismo è un motore che si autoalimenta, inesorabile e inarrestabile come la marea ma che, proprio per questo, è destinato a seguire un ciclo e a finire, forse, per spegnersi. La vera domanda è: cosa verrà dopo? E soprattutto: qualcuno sopravviverà a questa apocalisse? Ci sarà un dopo? O i pochi di noi rimasti saranno Leggenda?
Si registri che siamo nell’Anno del Signore 2020, è primavera e offriamo cibo e riparo ai sopravvissuti, sperando che ce ne siano…

Un pensiero riguardo “RECENSIONE: George R.R. Martin e il mito dell’iperrealismo”

  1. Arguto, ironico e talentoso, oserei dire; molto gradevole da leggere. A questo punto mi guarderò il Trono di Spade per poi andare oltre, come suggerisce l’autore, o magari tornare indietro a leggere Lovecraft. Sono molto incuriosita.

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