Cercate i miei romanzi su Amazon, Kobo, IBS e tanti altri store…
Quante volte nella nostra vita abbiamo sentito nominare Charles Darwin? Moltissime, credo. Studiato a scuola e conosciuto come padre della teoria evolutiva: “quello che ha scoperto le cause dell’evoluzione”. Sottovalutato da alcuni, perché “ci sono dei fatti che l’evoluzionismo non riesce a spiegare”. Tutti lo nominano ma ben pochi, io credo, sanno veramente chi fosse o conoscono la grandezza del suo lavoro.
Il primo mito da sfatare, almeno per me, fu la contrapposizione fra Darwin e Lamarck, sostenitore della teoria dell’accrescimento (la famosa giraffa che si sforzava di allungare il collo per poter mangiare le foglie sui rami più alti). Ricordo la semplicità con cui i libri delle scuole superiori confutavano quell’idea, mostrando come le caratteristiche acquisite nel corso della vita non si trasmettono per eredità (il tennista ha un braccio molto sviluppato, ma il figlio del tennista nasce con due braccia perfettamente normali, ricordate?). Poi venne Darwin, che fece un giro in barca (sulla Beagle, giusto?) e sceso a terra in una delle tante fermate vide delle farfalle bianche e delle farfalle nere, le prime si mimetizzavano più facilmente ed erano meno predate, e in poco tempo di farfalle nere non ce n’erano più, solo bianche. E Darwin scoprì l’evoluzione.
Ammetto di aver banalizzato, forse in modo ingiusto, ma questo è in buona sostanza quello che io ricordo dei miei studi liceali, non tutti i dettagli ma l’idea che rimase. La prima cosa che ho scoperto leggendo “L’origine delle specie” invece, è che Darwin e Lamark non erano affatto antagonisti. Darwin cita spesso il collega riconoscendogli «d’aver reso un eminente servizio alla scienza, con l’aver attratto l’attenzione sulla probabilità che i cambiamenti nel mondo organico e nell’inorganico sian dovuti a una legge, e non a interventi miracolosi» e prende in considerazione l’accrescimento lamarkiano come una delle possibili cause dell’evoluzione (quelle che Darwin cercò per tutta la vita senza mai trovare).
Il vero antagonista di Darwin era la cosiddetta “teoria della creazione indipendente”, o più semplicemente “creazionismo”. Un credo ben più profondo e radicato che voleva tutti gli esseri viventi immutabili e creati da una mente superiore, indipendentemente gli uni dagli altri, e che i naturalisti avevano fino a quel momento catalogato, con gran fatica, in varietà, specie, famiglie e ordini seguendo un criterio puramente analogico: caratteri fisici molto simili a indicare strette parentele o l’appartenenza ad una stessa categoria.
Potete immaginare come reagì il mondo di allora (era la metà dell’ottocento) quando Charles Darwin pretese di mettere in discussione non solo l’intera classificazione degli esseri viventi, sostenendo la necessità di un criterio di tipo genealogico, ma le stesse fondamenta del creazionismo, sostenendo che tutte le specie esistenti, nessuna esclusa, siano derivate, tramite modificazioni successive, da un unico, antico progenitore.
“L’origine delle specie” è un trattato scientifico, composto da molte pubblicazioni successive e più volte riedito e aggiornato. Nei primi capitoli, Darwin mette in luce tutte le debolezze della teoria creazionista, utilizzando un’enorme mole di dati osservativi che provengono da quasi tutti i naturalisti e i planetologi dell’epoca.
NOTA: Ciò che sorprende di più in assoluto di Darwin, molto più del genio con cui giunse alle sue conclusioni, è l’enorme vastità della sua cultura specifica (egli aveva probabilmente letto e studiato ogni singolo trattato naturalistico esistente alla metà del 1800), a cui attinge costantemente per dare forza e forma alla sua teoria. Vi sono pagine in cui ho contato fino a 8 citazioni distinte.
Andiamo per ordine.
Darwin parte dallo studio di quelle che chiama le “variazioni allo stato domestico” , cioè di quegli animali e piante che l’uomo ha nel tempo addomesticato e abituato a condizioni di vita che differiscono da quelle allo stato di natura. Egli stesso racconta di essere rimasto sorpreso da semplici agricoltori, o allevatori di bestiame o pollame, che si dimostravano ben più vicini alle sue teorie di molti esperti naturalisti, considerandole spesso delle ovvie banalità. Era infatti assolutamente normale per loro far accoppiare i cavalli più forti e resistenti per far sì che i loro figli lo fossero altrettanto, e così i loro figli e i figli dei loro figli, arrivando nell’arco di poche generazioni a creare una nuova razza di cavalli, forte e resistente, che prima non c’era.
È certo che molti dei nostri celebri allevatori hanno, perfino nel corso della vita di un solo uomo, modificato largamente le loro razze di bovini e di pecore. Gli allevatori parlano abitualmente dell’organismo di un animale come di qualcosa di plastico, che essi possono modellare quasi a loro piacere.
Il passo successivo per Darwin è lo studio delle “variazioni allo stato di natura” e la ricerca del modo in cui, la natura stessa, operi su tutti gli esseri viventi quel processo di selezione “naturale” che l’uomo riesce a praticare artificialmente sulle specie domestiche. Egli conclude che fra le specie allo stato di natura esista un’autentica e costante “lotta per la vita” che porta inevitabilmente alla sopravvivenza di quegli individui che si dimostrano più adatti e che le caratteristiche che li rendono tali si trasmettano alla loro discendenza, portando all’espansione territoriale del nuovo gruppo a discapito di tutti gli altri, meno adatti, che alla lunga sono destinati ad essere soppiantati.
Segue ovviamente la formulazione completa della teoria e l’analisi nel dettaglio di tutte le sue sfaccettature, su cui non mi dilungherò.
Se in condizioni mutevoli di vita gli esseri viventi presentano differenze individuali in quasi ogni parte della loro struttura, e ciò non è discutibile; se a cagione del loro aumento numerico in progressione geometrica si determina una severa lotta per la vita in qualche età, stagione o anno, e ciò certamente non può esser discusso; allora, considerando la infinita complessità delle relazioni di tutti gli esseri viventi fra di loro e con le loro condizioni di vita, la quale fa sì che un’infinita diversità di struttura, costituzione e abitudini, sia per essi vantaggiosa, sarebbe un fatto quanto mai straordinario che non avessero mai avuto luogo variazioni utili al benessere di ciascun individuo, allo stesso modo con cui hanno avuto luogo tante variazioni utili all’uomo. Ma se mai si verificano variazioni utili ad un qualsiasi essere vivente, sicuramente gli individui così caratterizzati avranno le migliori probabilità di conservarsi nella lotta per la vita; e per il saldo principio dell’eredità, essi tenderanno a produrre discendenti analogamente caratterizzati. Questo principio della conservazione, o sopravvivenza del più adatto, l’ho denominato selezione naturale.
A questo punto Darwin stesso espone le principali difficoltà, molte da lui stesso riscontrate: le cosiddette falle nella teoria. E le affronta con la sua consueta lucidità, passando poi ad allargare la teoria stessa a concetti molto complessi e difficili come l’evoluzione dell’istinto e l’ibridismo.
La più lampante e facile da ricordare, fra tutte le difficoltà imputate all’Origine delle specie, è l’assenza, o al meglio la rarità, delle varietà intermedie, cioè tutti quei passaggi che avrebbero portato una specie o una varietà ad evolversi in tante altre. La domanda posta da molti naturalisti scettici dell’evoluzione era, in parole povere: “se è vero che una specie può evolversi in un’altra tramite piccoli passaggi successivi, perché quasi mai troviamo evidenza di tali passaggi, vivente o fossile?”
Questo argomento viene affrontato a più riprese, in vari capitoli del libro a cominciare dal settimo, con un divertente e facile esempio riguardante gli scoiattoli volanti. Darwin spiega come l’assenza di specie intermedie tra lo scoiattolo comune e quello volante sia da imputare alla rapidità con cui gli scoiattoli “volanti” con “ali” sempre più perfezionate di certo abbiano rapidamente soppiantato tutti quelli con “ali” più ridotte e meno utili, poiché è consuetudine notare che le caratteristiche utili che vengono mantenute e accresciute dalla selezione naturale hanno la tendenza a variare molto e molto rapidamente, portando quindi a una rapidissima successione di forme di vita sempre più perfezionate, che si soppiantano costantemente l’una con l’altra lasciando pochissime se non nulle tracce del proprio passaggio. Ottimo poi, è anche l’esempio citato nel capitolo ottavo sull’istinto, in cui Darwin dimostra come in realtà un uccello come il cuculo riesca a mostrarci, nelle sue molteplici forme sparse per il pianeta, molti degli stadi intermedi della sua evoluzione, in particolare quella del suo istinto a deporre le uova nei nidi di altri uccelli e di allontanare a calci, appena nato, tutti gli altri pulcini del nido facendoli cadere, rimanendo così l’unico ospite e facendosi allevare da altri genitori.
Alcuni naturalisti presumono che la causa più immediata dell’istinto del cuculo risieda nel fatto che la femmina non depone le uova quotidianamente, ma a intervalli di due o tre giorni; cosicché, se essa dovesse costruire il nido e covare le uova, quelle deposte per prime rimarrebbero per qualche tempo abbandonate, oppure si avrebbero uova e piccoli di differente età nel nido. … Ma il cuculo americano si trova proprio in questa condizione; perché si costruisce il nido, depone le uova, e contemporaneamente si occupa dei piccoli che escono dall’uovo in tempi successivi. … Supponiamo ora che l’antico progenitore del cuculo europeo abbia avuto le abitudini della specie americana, e che abbia occasionalmente deposto un uovo nel nido di un altro uccello. Se l’uccello adulto avrà tratto profitto da questo fatto occasionale sia perché ha potuto migrare prima, sia per un’altra causa qualunque; o se il giovane cuculo sarà diventato più vigoroso per aver tratto vantaggio dall’istinto di un’altra specie, più che se fosse stato allevato dalla propria madre, costretta ad occuparsi contemporaneamente delle uova e dei piccoli di varie età: in tutti i casi ne sarà derivato un vantaggio tanto per l’uccello adulto quanto per il giovane. L’analogia ci indurrebbe a credere che i piccoli così allevati abbiano potuto ereditare l’abitudine accidentale e anormale della loro madre, e, a loro volta, abbiano acquisito la tendenza a deporre le uova nei nidi degli altri uccelli, allevando così la loro prole con maggiore successo. Io credo che da questo prolungato processo, si sia generato lo strano istinto del nostro cuculo.
Ho trovato mirabile soprattutto il capitolo decimo, che parla dell’imperfezione della documentazione geologica a nostra disposizione. Darwin qui si appoggia ai geologi del suo tempo per dimostrare quanto la nostra conoscenza di ciò che fu la Terra nel lontano e anche nel vicino passato sia, al meglio, effimera. Egli pone l’accento sulle straordinarie condizioni che si devono venire a trovare perché forme di vita ora estinte siano potute arrivare fino a noi tramite reperti fossili, unici possibili testimoni della loro esistenza.
Per quanto mi riguarda, secondo la metafora di Lyell, considero i dati geologici come una storia del mondo tramandata imperfetta e scritta in un mutevole dialetto; storia di cui possediamo solo l’ultimo volume, limitato a due o tre regioni. Di questo volume si è conservato solo qua e là un breve capitolo; e di ogni pagina solo qualche riga ogni tanto. Ogni parola di questa lingua, che varia lentamente, più o meno diversa nei successivi capitoli, può rappresentare le forme di vita, che sono sepolte nelle nostre formazioni successive, e che erroneamente sembrano esservi state repentinamente introdotte.
Voglio spendere due parole su un altro, forse il più grande, dei miti che si trovano nei libri di scuola. Ricordate l’estinzione dei dinosauri? Immagino di sì. I dinosauri si sarebbero estinti a causa della caduta di un meteorite, che avrebbe sollevato abbastanza polvere da oscurare il sole per tantissimi anni. Ebbene, all’epoca in cui visse Darwin si pensava già che fosse così, con la differenza che qualcosa di simile si pensava riguardo ogni singola specie o famiglia ritrovata allo stato fossile e non più presente, dai dinosauri ai molluschi. Il creazionismo prevedeva appunto la creazione, indipendente, di specie immutabili, per cui era ovvio che se una di queste non fosse arrivata fino a noi dovesse necessariamente esserle successo qualcosa di catastrofico, portando alla sua repentina estinzione. Darwin, nonostante la sua estrema sobrietà e puntualità, sembra quasi voler deridere questa concezione, portando proprio l’esempio dei grandi rettili del passato e facendo notare come le loro grandi dimensioni e la loro grande forza fisica avrebbero di cerco costituito uno svantaggio nel momento in cui fossero comparse delle forme di vita più adattabili, senza alcun bisogno di chiamare in causa meteoriti o grandi eruzioni vulcaniche globalmente sincronizzate. L’estinzione, in breve, è un’inevitabile e fondamentale parte dell’evoluzione.
Questo argomento è così poco compreso, che ho spesso sentito esprimere sorpresa per l’estinzione di animali giganteschi come il mastodonte o i più antichi dinosauri, come se la sola forza fisica potesse assicurare la vittoria nella battaglia per la vita. Al contrario, le mere dimensioni, come è stato osservato da Owen, possono in alcuni casi determinare una più rapida estinzione, a causa della maggiore quantità di cibo necessaria.
In ultima Darwin ritorna sulla questione della classificazione, tornando ad attaccare (è un termine un po’ forte forse, ma trovo che si adeguato se calato sul personaggio) i criteri fino a quel momento usati dai naturalisti, dimostrando poi come questi presentassero ovvie e spesso insormontabili difficoltà nella classificazione di molti di esseri viventi.
Le nostre classificazioni sono spesso manifestamente influenzate dalla catena delle affinità. Nulla di più facile che definire un numero di caratteri comuni a tutti gli uccelli: ma per i Crostacei una tale definizione è finora risultata impossibile. Alle estremità opposte della serie si trovano crostacei che hanno a malapena un carattere in comune; tuttavia le specie ai due estremi, per essere palesemente affini ad altre, e queste ad altre ancora, e così via, possono inequivocabilmente essere riconosciute come appartenenti a questa, e non a un’altra classe di Articolati.
Egli nota però come, in verità, le difficoltà nella classificazione, palesemente ovvie a qualunque naturalista, abbiano portato moltissimi dei suoi colleghi a cercare, involontariamente, di classificare le specie secondo criteri di discendenza, suggerendo che forse quello che molti all’epoca chiamavano il Sistema Naturale (il grande progetto della Creazione che starebbe dietro alle specie) potesse trovarsi proprio nella classificazione genealogica e nella discendenza da un unico progenitore.
I naturalisti, come abbiamo visto, cercano di disporre le specie, i generi e le famiglie in ogni classe, secondo quello che si chiama Sistema Naturale. … Ma molti naturalisti pensano che il termine Sistema Naturale significhi qualcosa di più; essi credono che riveli il piano del Creatore. … La celebre espressione di Linneo, in cui ci s’imbatte spesso in forma più o meno larvata, cioè che i caratteri non fanno il genere, ma che il genere dà i caratteri sembra implicare che la nostra classificazione racchiude un legame più profondo della semplice somiglianza. Credo che così stiano le cose e che la comunanza di discendenza – unica causa conosciuta della stretta somiglianza negli esseri viventi – sia il legame, che, pur essendo osservato mediante diversi gradi di modificazione, ci è parzialmente rivelato dalle nostre classificazioni.
L’apporto di Darwin al sapere scientifico è, a mio parere, talmente grande da non poter essere quantificato. Si tratta di una vera rivoluzione, che non può avvenire alla maniera di Archimede Pitagorico e Zio Paperone, quando il primo si risveglia tutto eccitato dopo un sogno rivelatore e produce l’invenzione che permette al secondo di fare i miliardi. Ma deve necessariamente prodursi dall’accumulo, nel corso di decenni o anche secoli, di un’enormità di materiale osservativo e dalla successiva analisi, lunga e paziente, da parte di un illuminato scienziato, che sappia portare a sé tutto questo sapere e trarne le dovute conclusioni, riservandosi poi di dover lottare, magari col coltello fra i denti, per l’affermazione della sua teoria contro lo scetticismo e la paura.
Voglio concludere questa recensione citando il paragrafo finale dell’Origine delle specie, che racchiude e riassume tutto il pensiero d arwiniano, nella speranza che a qualcuno possa venire la voglia di leggere da sé le parole di uno dei più grandi pensatori della storia. È davvero sorprendente, a mio avviso, che un lavoro di queste proporzioni, rivoluzionario fino a questo punto (se pensiamo all’epoca in cui fu pubblicato), sia stato prodotto, in ultima, da un uomo di fede.
È interessante contemplare una plaga lussureggiante, rivestita da molte piante di vari tipi, con uccelli che cantano nei cespugli, con vari insetti che ronzano intorno, e con vermi che strisciano nel terreno umido, e pensare che tutte queste forme così elaboratamente costruite, così differenti l’una dall’altra, e dipendenti l’una dall’altra in maniera così complessa, sono state prodotte da leggi che agiscono attorno a noi. Queste leggi, prese nel loro più ampio significato, sono la legge dell’accrescimento con riproduzione; l’eredità che è quasi implicita nella riproduzione; la variabilità per l’azione diretta e indiretta delle condizioni di vita, e l’uso e il non uso; il ritmo di accrescimento così elevato da condurre a una lotta per l’esistenza, e conseguentemente alla selezione naturale, che comporta la divergenza dei caratteri e l’estinzione delle forme meno perfette. Così, dalla guerra della natura, dalla carestia e dalla morte, direttamente deriva il più alto risultato che si possa concepire, cioè la produzione degli animali superiori. Vi è qualcosa di grandioso in questa concezione della vita, con le sue diverse forze, originariamente impressa dal Creatore in poche forme, o in una forma sola; e nel fatto che, mentre il nostro pianeta ha continuato a ruotare secondo l’immutabile legge della gravità, da un così semplice inizio innumerevoli forme, bellissime e meravigliose, si sono evolute e continuano a evolversi.
Chapeau!
Un articolo appassionato a sostegno di un grandissimo scienziato e di un libro insostituibile per dimostrare che il progresso scientifico e` spesso il risultato di un lavoro paziente e certosino di ricerca, studio e catalogazione.