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Stazione spaziale Aiur, Sistema Protos, Volta superiore, anno stellare 12.627
Milla osservava rapita mentre la miriade di seggi fluttuanti prendeva posto nel vuoto del globo trasparente, disponendosi in un grande anfiteatro attorno all’ampia piattaforma centrale, mentre al di fuori, centinaia di metri sopra, sotto e tutt’attorno, lo spazio stellato rimaneva immobile a osservare, piuttosto svogliatamente secondo lei, la prima convocazione del Senato Galattico.
C’erano rappresentanti di ogni sistema conosciuto, ciascuno col suo seggio mobile e le sue apparecchiature di comunicazione all’avanguardia, dal più piccolo e insignificante atollo nelle profondità dello spazio ai più prosperosi sistemi centrali ognuno aveva una voce, e la possibilità di contribuire al futuro della Via Lattea nelle decisioni dell’assemblea, che avrebbero potuto cambiare il destino di interi settori.
Una totale perdita di tempo, nonché un assurdo spreco di risorse e di energie. L’ultima, ennesima e plateale trovata con cui i planetoidi erano riusciti a stupirla. Non li avrebbe mai capiti.
Al Senato erano rappresentate anche le Aggregazioni Lunari. I loro seggi erano disposti in un ampio anello al di sopra delle postazioni dei sistemi comuni, in una sorta di parodia mal riuscita della presunta distanza tra i loro mondi e della volontà di entrambe le culture di trovare un luogo comune di dialogo.
Stronzate.
No, “stronzate” non rendeva giustizia a ciò che Milla pensava di tutto questo. Era un’enorme, mastodontica, stellare messa in scena, del tutto priva di scopo o significato, ma una messa in scena che i planetoidi amavano al punto da aver costruito una bolla di cristallo nelle profondità dello spazio, a migliaia di anni luce da qualunque sistema conosciuto, per avere un posto abbastanza teatrale dove metterla in atto.
Milla aveva studiato e approfondito il loro concetto di “governo”, nelle sue molteplici forme e sfaccettature, per la buona parte di una decade, ma non lo aveva mai davvero capito.
«Devi ammettere che è un bello spettacolo» disse al suo fianco Dalla, nota ai planetoidi come Dallaila Hessire, portavoce della FAL (la Federazione delle Aggregazioni Lunari), l’ente che aveva ufficialmente sostituito ormai da alcune decadi standard il vecchio Comitato Lune Indipendenti.
«In fatto di spettacoli ci sanno fare» ammise Milla. «È l’unica cosa che sanno fare davvero bene.»
«Non essere così rigida. Ho conosciuto molti planetoidi degni di rispetto e potrei citartene molti altri. Sono solo…»
«Troppi» concluse per lei Milla. «Troppi e troppo strani.»
Dalla rise.
Il loro seggio si allontanò dall’anello superiore e discese aggraziato verso la piattaforma centrale, dove si innestò col più lieve dei rumori. Erano i posti riservati ai membri dell’ormai ex Consiglio Intergalattico Illimitato, ora chiamato Consiglio Reggente, cioè i rappresentanti delle più importanti federazioni militari, civili ed economiche esistenti, che nel corso delle ultime quindici decadi avevano governato praticamente ogni aspetto della vita, e spesso della morte, di buona parte degli esseri umani della Via Lattea.
Dalla scese con grazia nello spazio comune e salutò con garbo impeccabile tutti gli altri consiglieri, mentre Milla coglieva l’occasione per osservarli per la prima volta da vicino, concludendo in pochi istanti che non era a loro che doveva rivolgere la propria attenzione, ma ai loro seguiti.
Esteban Rubillo, Primo Oratore della FSU (Fondazione del Sapere Universale), era accompagnato da tre dignitari dall’aspetto autorevole e da quattro assistenti, vestiti di colori scuri e le cui dita non smettevano un attimo di digitare codici e cifre nei loro prismi olografici, fedeli alla propria tradizione di totale rifiuto di qualunque tecnologia o impianto corticale. Ai dignitari non diede peso, erano probabilmente importanti dottori di strane materie che non la riguardavano, e tre dei quattro accompagnatori erano ciò che sembravano: scribacchini professionisti. Il quarto invece era interessante: era più alto degli altri, anche se si piegava in un modo che tendeva a nasconderlo, e la sua attenzione non era catalizzata da qualche appassionante lavoro di algebra o tecnica. Aveva occhi vigili, scattanti, e si muoveva sempre in modo da rimanere solo qualche passo dietro a Rubilio: una guardia del corpo sotto mentite spoglie, come Milla.
“Non siamo gli unici ad aspettarci sorprese” pensò fra sé, concedendo un lieve cenno del capo all’indirizzo del collega che la fissò stupito, prima di ricambiare.
Il Maresciallo Geremy d’Otello, un uomo alto e robusto ma evidentemente segnato dalla scarsa qualità dei trattamenti ringiovanenti a cui quelli dell’EFI si sottoponevano, era accompagnato da un’assistente e da due donne, entrambe di alta statura e vestite in abiti larghi che avrebbero dovuto mascherare la loro fisicità. Camminavano ai lati del Maresciallo e si guardavano attorno come due torrette mobili armate di laser: Forze Speciali, indubbiamente.
Tutti, notò rapidamente Milla, erano accompagnati da almeno un individuo che aveva il compito di proteggere la loro persona. Alcuni, come quelli dell’EFI, lo ostentavano apertamente mentre altri facevano del loro meglio per non dare nell’occhio, ma tutto sembrava confermare ciò che la Federazione aveva temuto: i membri del Consiglio Intergalattico Illimitato (riposasse in pace) non si fidavano più gli uni degli altri e ancor meno del nuovo Senato.
L’unica eccezione sembrava essere il professor Mitkentalk, un ometto di dimensioni trascurabili e dal portamento caracollante, pelato ad eccezione di una corona di capelli ingrigiti che gli contornava il capo tondo come un’aureola e del tutto privo di qualunque scorta o seguito. Milla sapeva che tutti i planetoidi di un certo spessore facevano uso della ricalibrazione genetica per correggere i loro numerosi difetti somatici e fisici, e si chiese che cosa potesse spingere il Rettore della Cronologia Galattica a presentarsi all’universo con quell’aspetto ridicolo. Mitkentalk conversava amabilmente con tutti, scambiava battute e sembrava del tutto estraneo a quel sentimento di reciproco astio e persistente sfida che permeava tutti gli altri membri del Consiglio. Milla non lo percepiva come una minaccia, ma continuò comunque a osservarlo di sottecchi, come si guarda una variabile imprevista in un’equazione altrimenti assolutamente semplice e lineare.
«Sta per cominciare» disse Dalla a bassa voce mentre tutti i consiglieri prendevano posto.
«Era ora» commentò Milla.
«Ricordati dove siamo e come ti devi comportare.»
«Tranquilla… qui non me lo posso certo dimenticare.»
La seduta fu lunga ed estenuante.
Cominciò con una presentazione dettagliata della stazione Aiur a cura di Magnano Crosby, Presidente dell’ATI (l’Associazione Tecnologica Interstellare, che racchiudeva sotto il suo mantello quasi tutte le più grandi compagnie multiplanetarie della galassia e i cui membri erano i principali responsabili della progettazione e della realizzazione della stazione), a cominciare dalla fondazione del progetto fino ai più minuscoli dettagli tecnici, proseguendo con un resoconto della colossale impresa che aveva portato all’esistenza del sistema Protos e ai motivi che avevano condotto a questa scelta.
Protos, a onore del vero, era stato un progetto grandioso: il primo sistema solare artificiale creato dagli esseri umani nella Via Lattea, una piccola nube di idrogeno (piccola considerando gli spazi ben più immensi dei veri sistemi planetari) in cui il processo di formazione stellare era stato alimentato, catalizzato e accelerato al punto da creare, nel giro di pochissime decadi, un nuovo, piccolo e caldissimo sole. Vicino a questo si era poi insediata la stazione spaziale Aiur, da alcuni impropriamente chiamata “installazione”, che era solo il primo passo in un lungo progetto di costruzione e insediamento che avrebbe portato, in ultima fase, alla creazione della prima, vera sfera di Dyson nella storia dell’umanità: un globo artificiale che avrebbe totalmente circondato la stella e ospitato un nuovo mondo sulla totalità della sua superficie interna.
Milla pazientò a lungo mentre, planetoide dopo planetoide, i vari astrofisici e ingegneri al soldo dell’ATI esibivano la propria magnificenza davanti ai neo-Senatori e ai loro seguiti, i quali fissavano rapiti e applaudivano all’unisono quando il tono dell’oratore lasciava intendere che se lo aspettasse. Ammirava Dalla per la sua pazienza e la sua postura composta, quel parco sorriso che non lasciava per un attimo le sue labbra mostrava ai planetoidi tutto ciò che desideravano vedere in una dignitaria lunare: eleganza (secondo i loro canoni), raffinatezza, e una totale e imprescindibile attenzione per tutto ciò che li riguardava e che, di conseguenza, era tutto ciò che contava.
Dopo quel primo, terribile supplizio prese la parola il Maresciallo D’Otello, decantando le straordinarie capacità difensive della stazione Aiur, dalla flotta che la difendeva e la perfetta posizione strategica ai nuovi, temibilissimi Raggi Nova (un’evoluzione degli ormai obsoleti Cannoni Nova con cui le colonie di frontiera si erano difese per secoli). Protos, spiegò, si trovava nella Volta Superiore e ben al di sopra del disco galattico, in un punto dello spazio che non era raggiungibile dai normali motori subspaziali. La gravità, come tutti sapevano (anche i Senatori), era l’elemento fondamentale del viaggio interstellare: più un sistema era denso, più facile era trovare delle rotte per raggiungerlo. Ma Protos si trovava in un punto di “parallasse quantica”, la cui rotta era linearizzabile solo secondo un sistema di coordinate complesse che univa lo spazio relativistico con quello quantistico, una tecnologia che, a quanto pareva, non poteva ancora essere riprodotta dagli Herem. In altre parole: Protos era una fortezza inespugnabile, il luogo perfetto dove insediare la più importante assemblea della Galassia.
“Dopo il Consiglio…” si disse Milla, badando bene a non vocalizzare quel pensiero perché con i planetoidi era meglio non essere troppo schietti, specialmente quando si prendevano così sul serio. Dalla però doveva aver intuito cosa le passasse per la testa perché le rivolse il più lieve dei cenni di rimprovero, senza mai smettere di sorridere e di annuire aggraziatamente mentre seguiva il discorso del Maresciallo.
“Non la invidio per niente!” stabilì Milla, non per la prima volta.
Il supplizio finì solo dopo che tutti gli altri membri del Consiglio Reggente ebbero espresso i loro apprezzamenti e i loro migliori auguri ai nuovi Senatori, i quali si apprestavano ora a votare la loro prima risoluzione: una mozione (così la chiamarono) che avrebbe conferito al Consiglio Reggente (che già li aveva) i pieni poteri esecutivi, i quali avrebbero potuto in seguito essere negati solo da un’altra mozione (di sfiducia) se appoggiata dai due terzi dell’assemblea.
«Preparati, ora comincerà la discussione» l’avvisò Dalla senza voltarsi, ma con quel tono velatamente divertito che Milla ormai conosceva bene.
«Vuoi dire che non è finita?» domandò lei sconcertata.
Dalla la guardò comprensiva dicendo: «Temo che non sia nemmeno cominciata.»