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Paragrafo 1
Paragrafo 2
Paragrafo 3
Pianeta Terra, Sistema Solare, anno gregoriano 2.634
Hanno tutti fretta di salire.
Non ne capisco il motivo, poiché non si parte finché non ci sono tutti. E sono pochi, credevo ce ne sarebbero stati molti di più: saranno al massimo cinquecento.
Valutazione: sono molto vecchi. La migliore età media per un viaggio di colonizzazione è stimata tra i ventidue e i ventotto anni terrestri; la metà di questi passeggeri ne ha più di quaranta.
Valutazione: non ci sono abbastanza bambini. Circa un quarto della popolazione migrante dovrebbe essere composta da bambini non sopra i dieci anni; a questo viaggio ne prenderanno parte soltanto quattordici, più otto adolescenti.
Valutazione: ci sono troppi uomini. La popolazione migrante adulta in età da riproduzione dovrebbe essere composta da donne almeno al 65%, ma attualmente siamo sotto il 40.
Si tratta prevalentemente di famiglie, composte da membri di genere promiscuo, e fingono di ignorare gli individui al di fuori della propria cerchia di affetti, come se avessero paura. È strano…
Previsione: a queste condizioni, le probabilità di sopravvivenza della colonia sono molto basse; la stimo a circa settant’anni, a meno di una forte esplosione delle nascite nei primi quindici anni di colonizzazione, periodo in cui però si riscontreranno le maggiori difficoltà di adattamento e il maggior numero di decessi accidentali.
Sembrano ignari delle sfide che li attendono e si comportano come se, mettendo piede sulla nave, il loro viaggio fosse già terminato. Trovo che questo fattore sia il più difficile da comprendere.
Raccomandazioni: la priorità va data alla protezione della popolazione femminile, specialmente nei primi venti anni dall’insediamento; è opportuno che la giovane società coloniale acquisisca un’impostazione social-democratica e si sviluppi secondo percorsi mirati alla parità di trattamento con particolare attenzione all’attenuamento (meglio all’annullamento) delle differenze di genere; è anche opportuno promuovere un buon grado di poligamia e promiscuità nei rapporti personali.
«Everett! Everett, vieni qui.»
«Mamma, chi è quel signore blu?»
«È il Capitano, tesoro.»
«Non è il Capitano, Margaret. Queste navi non hanno un Capitano, è solo il faccendiere.»
«Perché è blu, papà?»
«Perché sono fatti così. È una specie di androide che però sembra una persona, e li fanno blu.»
«Perché?»
«Non lo so.»
«Mamma, tu lo sai?»
«No, tesoro. Purtroppo no. Però se vuoi possiamo andarglielo a chiedere.»
«Sì, sì, sì!»
«Non credo sia una buona idea, Margaret.»
«Andiamo, Paul! Siamo arrivati, no? Siamo a posto. Viaggiamo verso un mondo nuovo, come hai sempre detto. Che c’è di male se nostro figlio si diverte un po’? È un bambino, è curioso.»
«Ho detto di no.»
«Guarda mamma, sta venendo qui!»
Quando il Blu gli si avvicinò, Paul Fortmann provò un moto di ribrezzo, e di stizza perché quella cosa gli si avvicinava provocandogli ribrezzo.
A vederlo sembrava un ragazzo di venticinque anni, ma aveva la pelle grigia (quasi bianca in effetti) e le vene gli risaltavano grosse e blu sul collo scoperto e sulla fronte liscia.
«Non potresti coprirti? Stai spaventando mio figlio» tentò.
Il Blu piegò leggermente la testa, abbassando lo sguardo su Everett; aveva una bocca stretta e sottile e due occhi piccoli e squadrati. Sorrise gentilmente, poi tornò a guardare Paul. «Nucleo Fortmann?»
«Sì, siamo noi!» squittì Everett tutto contento.
«Everett, lascia parlare me, per favore. Vorremo…»
«Hangar 12, fila H, posti 11-12-14. Prego, procedere.»
«Ehi, un momento! Perché non siamo tutti insieme? Chi c’è al posto 13?»
«Tesoro, smettila. Ti prego…»
«Margaret, vuoi piantarla? Non dobbiamo lasciare che ci separino!»
«Ma papà, sulle navi non esiste il posto 13, porta sfortuna.»
Paul fissò il Blu. Trovava difficile guardarlo; aveva una piccola vena al centro della fronte che protrudeva come un bubbone e quella pelle sembrava morta. «È così?» domandò, cercando di farsi minaccioso.
«È così» assentì il Blu. «Vogliate procedere, per favore.»
«Come ti chiami?» chiese Everett.
«Shh! Everett, il signor Capitano ci ha chiesto di andare ai nostri posti.»
«Margaret, come te lo devo dire che non è il Capitano? È solo un…»
«Mi chiamo Aaron, giovane passeggero» rispose questi interrompendo il signor Fortmann. «Aaron Marecalmo, e come vostro Capitano vi chiedo ancora una volta di raggiungere le vostre postazioni o saremo costretti a tardare la partenza.»
«Visto, papà? Te l’avevo detto che era il Capitano!»
«Bravo tesoro» lo lodò Margaret, rivolgendo al Capitano Aaron un sorriso di ringraziamento, accompagnato solo da un lieve nervosismo. «Ora vai, segui papà. Su!»
Trovo strano che siano gli uomini a essere maggiormente disturbati dal mio aspetto. Le donne tendono a guardarmi con curiosità e a volte timore ma mai astio o disprezzo, simulati per coprire il disturbo e la paura.
Le donne si dimostrano ancora una volta il genere superiore nella razza umana.
Spesso i normali scelgono di chiamarmi “androide”, nonostante io sia in realtà un essere umano e le mie diversità siano meri effetti collaterali dei trattamenti ringiovanenti: se il piccolo Everett mi avesse chiesto “quanti anni hai?” avrei risposto “cinquantaquattro”.
Ufficialmente ci chiamiamo Apripista Stellari o anche Cacciatori di Mondi ma, di fatto e principalmente per via del colore delle nostre venature in risalto, siamo i Blu.
La nostra destinazione è il sistema M46Y17, a 27 parsec di distanza astronomica dal Sistema Solare, raggiungibili con una latenza temporale stimata a 74 anni terrestri più o meno un errore di circa 10 anni.
Le scorte e le strumentazioni necessarie allo sviluppo della colonia per i primi cento anni sono presenti e al sicuro da incidenti o manomissioni; i miei dubbi sulla riuscita dell’impresa a causa delle falle nel campione umano selezionato per li viaggio, tuttavia, rimangono.
Sto realizzano in questi istanti che sto per lasciare la Terra, e che non la rivedrò mai più. Questo mi fa provare una sensazione di grande perdita e di solitudine. Sono sempre stato solo, da quando ho iniziato il percorso di formazione e di istruzione per diventare un Apripista, ma oggi mi sento ancora più solo.
Considerazione: dovrei fraternizzare con i coloni, almeno a livello superficiale, per compensare questo sentimento.
Altra considerazione: questo potrebbe compromettere il mio giudizio e aggiungersi alla già lunga lista di elementi a nostro sfavore.
È curioso che io mi sia appena rivolto ai componenti della spedizione dicendo “noi” e non “loro”. Rifletterò su questo, mentre ci avviamo verso l’L1 e inizio i calcoli di linearizzazione della rotta subspaziale.
L’incipit promette bene. Un campione di umanità fatto di gente qualunque, curiosa, ignorante e presuntuosa allo stesso tempo, si accinge a partire per una nuova colonia, lontana anni luce dalla terra, sotto la guida di un pilota, un apripista. È lui, il blu, la voce narrante, osservatore distaccato e perspicace che ci fa entrare nella storia con garbo.