ANTEPRIMA: The Herem Saga #4 (Diario di un immortale) – parte 2

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Paragrafo 1
Paragrafo 2
Paragrafo 3

Michael e Sung erano seduti fianco a fianco e si stringevano la mano.
Michael veniva dal continente nordamericano, Sung da quello asiatico; si erano conosciuti quando lavoravano entrambi all’installazione degli estrattori sottomarini nel pacifico, circa vent’anni prima. Non erano vecchi, ma nemmeno nel fiore degli anni, e tutti i loro sforzi negli ultimi due decenni erano stati spesi nel tentativo di compiere questo viaggio, insieme.
«Sei emozionato?» chiese Michael con una piccola stretta.
«Un po’» rispose Sung sorridendo. «Quanto ci vuole fino a L1?»
«Quattordici ore, se non ricordo male.»
«Bloccati qui per un bel po’, quindi…»
«Sì. Direi di sì.»
Michael aveva un’espressione tranquilla e distesa, fiduciosa. Ero lui quello forte dei due, quello che sapeva sempre cosa fare e trascinava Sung quando a lui mancavano le forze, o il coraggio. Per contro, Sung era un brillante fisico, anche se a volte fingeva di dimenticarlo.
«Me lo spieghi?» chiese Michael.
«Che cosa?»
«Perché ci vogliono quattordici ore e perché il salto deve avvenire in questo famigerato punto lagrangiano.» Michael sapeva che parlare di cose che conosceva bene metteva Sung di buon umore.
«Il tempo dipende dal fatto che viaggiamo a propulsione. Dobbiamo spostare questo blocco di ferro e polimeri fino al punto lagrangiano principale seguendo le leggi della fisica newtoniana: spinta tramite espulsione di materiale gassoso dai razzi posteriori e conseguente moto frontale della nave. Le velocità che si raggiungono così sono molto limitate, ancora di più dal fatto che, se accelerassimo troppo, finiremmo tutti spiaccicati contro i nostri stessi sedili senza riuscire a respirare.»
«Quindi il viaggio subspaziale come funziona?»
«Segue una fisica completamente diversa, che inizia nella Relatività Generale e termina… non saprei nemmeno come definire il posto dove termina. In pratica si calcola una traiettoria geodetica dal punto di origine a quello di arrivo e poi la si “linearizza”.»
«Cioè la si trasforma in una linea?»
«Proprio così.»
«Ma non dovrebbe esserlo già? Una linea dritta, intendo. Una retta…»
«Sì, ma nello spazio quadridimensionale.»
«Che quindi non è davvero retta, giusto?»
«Lo è, in realtà, ma in quattro dimensioni. Linearizzare la rotta significa trasformare quella geodetica quadridimensionale in una retta euclidea, escludendo (o estrudendo) la dimensione temporale, che rimane nell’equazione sotto forma di latenza: più la linearizzazione è complicata, maggiore è la latenza.»
«Cioè?»
«Cioè più è complesso il calcolo e più tempo passa nell’universo reale mentre noi compiamo il salto lineare nel subspazio.»
Sung stava decisamente meglio, sembrava addirittura emozionato. Michael era abituato ad ascoltarlo parlare per ore e ore, senza stancarsi. Il suo compagno era un portento, doveva solo essere rimesso in piedi e in carreggiata di tanto in tanto.
«Com’è andata a casa? Non te l’ho nemmeno chiesto» s’informò Sung dopo un attimo di silenzio.
«Uno strazio, com’era prevedibile. Siamo riusciti a tenere a bada zia Meggie abbastanza a lungo da permettermi di salutare tutti come si deve, ma me ne sono andato con la sensazione che non fosse abbastanza… come se avessi potuto o dovuto dire di più. O fare di più…»
«È normale» gli disse Sung accarezzandogli una spalla. «Non li rivedrai più. Puoi solo farti forte del fatto che sapranno che avrai una vita migliore, da un’altra parte.»
Michael rise amaramente. «Settantaquattro anni di “latenza temporale”… più un errore di altri dieci. Te ne rendi conto, Su? Per me passerà un attimo, per loro una vita. Ora siamo qui, e anche loro sono qui, solo un po’ lontani, ma tra poco noi chiuderemo gli occhi e loro saranno già morti e sepolti quando li riapriremo dall’altra parte.»
Sung si strinse a lui, forte. «So che per te è più difficile, gli disse. Ma io ti amo e ti prometto che ce la farai, che ce la faremo insieme.»
«Lo so. Lo so…» Michael si sforzò di non singhiozzare. «Dai su» disse per distrarsi, «spiegami di questo punto lagrangiano.»
«È un luogo matematico» sussurrò Sung continuando ad abbracciarlo, «il punto dell’orbita terrestre che si trova esattamente davanti al Sole.»
«E non si sposta mai?»
«Mai.»
«E perché è importante?»
«Perché da lì è più facile calcolare la rotta. Ci sono molte variabili complesse nell’equazione, ma in determinati punti dello spazio si annullano. È come fare un diagramma scegliendo un piano cartesiano retto piuttosto che un sistema di riferimento con angoli casuali: entrambe le strade sono possibili, ma la prima è estremamente più conveniente.»
«Credo di aver capito.»
«Sarà bello, vedrai. Il nuovo mondo.»
«Di che colore sarà, secondo te?»
«Non saprei… ma mi piacerebbe se fosse più viola.»
«Io lo vorrei giallo.»
Risero entrambi, mentre la voce atona del computer della nave intimava a tutti di accomodarsi al meglio ai loro posti per iniziare la procedura di preparazione al salto.
«Ma non mancavano quattordici ore?» fece stupito Michael.
«Ne sono già passate quattro, in realtà, e probabilmente è ora di iniziare il ciclo ipnotico.» Sung gli strinse la mano. «Ci vediamo dall’altra parte.»
Michael sorrise, chiedendosi se non fosse diventato lui quello sensibile nella coppia. «Dall’altra parte…»

Sistema M46Y17 (rinominato Emme17), quinto pianeta, anno gregoriano 2.715

Atterraggio ultimato con successo.
La nave è in buono stato, le paratie esterne hanno retto adeguatamente l’attrito dell’atterraggio e i moduli interni sono arrivati in perfetto stato di conservazione, pronti per essere trasformati nei primi edifici e strutture della neonata colonia. Si sono registrati 37 decessi tra i passeggeri, 26 per embolie vascolari causate dalla forte decelerazione e 11 per mancato risveglio dalla trance ipnotica.
Siamo emersi dal subspazio con un errore di circa 240.000 chilometri oltre il punto lagrangiano del quinto pianeta, vicini all’errore massimo accettabile di 250.000 chilometri, ma, per una grande sfortuna, tale errore si è manifestato con una direzione e un verso che ci hanno proiettati dritto verso la massa del pianeta, costringendoci a una bruschissima frenata di emergenza per evitare il repentino contatto con l’atmosfera; ciò è da ritenersi la causa della buona parte degli imprevisti decessi per embolia. Gli 11 decessi da ipnosi rientrano invece nelle previsioni numeriche eseguite prima del salto, considerata anche l’età dei passeggeri e la scarsa preparazione al viaggio subspaziale, e sono da ritenersi accettabili.
Le condizioni atmosferiche all’arrivo sono state buone e hanno continuato a esserlo anche nei giorni successivi.
La nostra posizione si trova nell’emisfero australe a circa 13 gradi di latitudine e 500 metri di altitudine: si riscontrano una buona stabilità sismica e meteorologica e una gravità di 1,078g (a indicare, rispetto alla Terra, una maggiore densità degli strati interni del pianeta e possibilmente un maggiore contenuto metallico).
La temperatura ambientale sembrerebbe consona con le necessità della vita umana e gli sbalzi termici restano entro parametri accettabili, almeno secondo le prime stime. L’ossigeno nell’aria è presente anche se al di sotto del 13% e perciò non consente un’esposizione prolungata. È mia supposizione che, per i primi cinquant’anni di permanenza, la vita della colonia dovrà svolgersi in ambienti ad atmosfera controllata.
Purtroppo al momento non è possibile trarre ulteriori conclusioni poiché l’atterraggio repentino non ha permesso una valutazione preventiva delle condizioni all’arrivo. Ritengo comunque che il punto di atterraggio sia ideale e le perdite non compromettenti. Rimane la mia forte perplessità sulla proliferazione della colonia, anche se, fortunatamente, tra i decessi iniziali soltanto 14 erano femmine e di queste solo 5 in età di maggiore fertilità. Questo ci dà speranza.
Nota personale: spero davvero che sarò all’altezza di questo compito e che gli dei che ci siamo lasciati alle spalle assieme al nostro pianeta morente veglino ancora su di noi.

Lilli passò titubante sotto all’arcata del tunnel di collegamento, mettendo per la prima volta piede nello Spiazzo e schermandosi gli occhi con la mano, perché la forte luce del sole di Emme la abbagliava e le faceva male. Era un sole alieno, bianco e freddo, anche se bruciava, e lei era sicura che lo avrebbe sempre percepito come tale.
Quando aveva fatto domanda per imbarcarsi, sulla Terra, era stata presa praticamente all’istante. Aveva sentito racconti di persone che avevano provato per anni, se non decenni, a trovare un posto sulle navi in partenza, senza mai riuscire a superare le prime selezioni e gli infiniti sbarramenti burocratici. Lei no. Lei, donna in età fertile, aveva solo dovuto subire alcuni esami fisiologici e ginecologici e una breve e assai poco esaustiva valutazione psichica, prima di essere dichiarata idonea all’imbarco e assegnata a una delle prime navi in partenza. Non aveva famiglia con sé, nessun amico o compagno che fosse riuscito a seguirla. Era sola.
Si illuminò quando vide Michael che la salutava sventolando un braccio e si affrettò a raggiungerlo.
«Ben trovata!» la salutò questi.
Era seduto su una sdraio e la guardava sorridendo. Il suo compagno, Sung, era girato di schiena, intento a correggere qualche impercettibile difetto nel bilanciamento del suo sedile.
«Ciao. Che piacere rivedervi!» rispose Lilli con trasporto.
Lei e la coppia si erano conosciuti durante lo sbarco iniziale, ma purtroppo erano stati assegnati a blocchi diversi e incontrarsi, almeno nelle prime settimane, era stato difficile.
«Ehi, Sung. Guarda chi c’è!»
«Ciao, Lilli…»
Lilli gli si avvicinò. «È tutto a posto, caro?» Erano due persone squisite ed entrare in confidenza con loro era stato facilissimo.
«Sì» rispose Sung, «ma non riesco a capire perché i piedi non sono bilanciati.»
«A me pare che vadano benone» disse Michael, sdraiandosi contento. «Lilli vuoi una sdraio?»
«Certo, grazie! Ma… da dove escono questi aggeggi? Vengono da casa?»
«Assolutamente no» le spiegò Sung fiero. «Sono monoscocche in vetroresina, ho riprogettato e convertito uno dei riciclatori organici per lavorare la sabbia, visto che qui ne avevamo in abbondanza.»
«Sabbia?» chiese Lilli curiosa.
«Sì. Se lavorata nel modo giusto diventa vetro e quella che si trova in questa zona è particolarmente adatta per queste applicazioni, al punto che basta aggiungere una minima parte di componente resinoso alla mescola per ottenere un prodotto solido e relativamente flessibile.»
«Mi sono persa… praticamente possiamo usare la sabbia per costruire cose?»
«Purché i sintetizzatori siano sufficientemente grandi per stamparle. Attualmente non siamo ancora in grado di costruire edifici, per esempio.»
«Ma lo saremo, giusto?»
«Credo di sì» fece Sung entusiasta. «Fra un po’ di tempo, s’intende.»
«E tu come te la passi, cara?» chiese Michael, allungandole una delle sdraio. «Io mi godo il mio primo momento di riposo in tre giorni, se lo vuoi sapere.»
«Io, a dire la verità, mi sento piuttosto inutile» ammise Lilli. Si adagiò sulla sdraio, constatando che era davvero solida e, soprattutto, comoda come appariva.
«Anche il tessuto è in fibra di vetro» la informò Sung, che finalmente si era deciso a concedersi un po’ di riposo. «E, anche in questo caso, con un piccolissimo quantitativo di materia plastica richiesta.»
Lilli non capiva sostanzialmente nulla di ingegneria o di fisica, ma le pareva di ricordare che la plastica fosse un bene che andava centellinato, anche se non ricordava perché. Forse perché era stato portato dalla Terra e non ce n’era molto…
«Inutile?» le chiedeva intanto Michael. «Non ti hanno assegnato dei lavori?»
«No. Mi sto solo sottoponendo a una serie infinita di esami medici e sto seguendo una ferrea dieta. Nel mio Blocco siamo quasi tutte donne e più o meno nelle stesse condizioni. Non vedevo l’ora di fare due passi.» Chiuse gli occhi, cercando di immaginarsi su una spiaggia assolata con il dolce rumore della risacca nelle orecchie. Da bambina ogni tanto era stata al mare, con mamma. «Io lavorerei volentieri» ammise, «ma non mi viene permesso.»
«È strano, in effetti» convenne Michael. «Ero convinto che i protocolli prevedessero delle assegnazioni per tutti quanti. Dovrebbero essere state stabilite prima della partenza.»
«Si saranno dimenticati di noi» scherzò Lilli, anche se in realtà temeva di conoscere fin troppo bene la ragione per quelle differenze.
«A me sembra ovvio» disse Sung, dando voce a quello che lei aveva preferito tacere. «Le donne in età fertile hanno il compito di procreare ed è quindi rischioso esporle a pericoli o lavori che potrebbero danneggiarle o affaticarle.»
«Romantico come sempre, vedo» lo redarguì Michael. «Ti ricordo che abbiamo un’ospite.»
«No, va tutto bene» lo tranquillizzò Lilli. «Sung ha ragione, come sempre. E poi lo avevo già capito.»
«E ti sta bene?» chiese stupito Michael.
«Non lo so se mi sta bene, ma non credo di avere scelta. Indietro non si torna.»
«Questo è sicuro» convenne Sung. Poi, con una vena di rammarico: «Scusa, Lilli. Non volevo…»
«Va tutto bene, non hai detto nulla di inopportuno. E poi è importante avere anche chi sta con la testa sulle spalle e guarda alle cose in modo oggettivo. Ti ringrazio.»
Sung sorrise.
Lilli doveva ammettere che lo Spiazzo era stato un buona idea, di chiunque fosse. Era esattamente al centro della colonia, raggiungibile da tutti i blocchi principali, e ne costituiva di fatto l’unico elemento ricreativo.
In fin dei conti era quasi come trovarsi all’aria aperta: la cupola era perfettamente trasparente e il sole illuminava e scaldava, senza però minacciarli con le sue forti emissioni UV, e lo spazio era grande e non pavimentato, quindi di fatto i loro piedi poggiavano sul suolo alieno di Emme V; c’era perfino un sistema di ventilazione che simulava una brezza, che cambiava orientamento e intensità in modo casuale.
«Avete fatto altre conoscenze?» chiese Lilli, sentendo che presto le si sarebbero chiusi gli occhi.
«Una famiglia con un bambino» le rispose Michael, con la voce assonnata. «Lui è un po’ burbero ma ci si va d’accordo e la madre è molto gentile. Il piccolo è sempre pieno di domande» aggiunse ridendo.
«Mi fa piacere» disse Lilli.
Sì, sotto quel caldo sole e con quella bella temperatura, una dormita se la sarebbe fatta volentieri.

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